Le decisioni dell’assemblea di condominio non sono tutte uguali davanti ai giudici. Perché una delibera sia impugnabile devono essere presenti decisioni che manifestino la volontà collegiale.
Le delibere per essere impugnate devono “esistere”. Devono cioè consistere in decisioni oggettive identificabili e qualificabili come atti giuridici, espressione della volontà della maggioranza assembleare, idonee a produrre effetti pregiudizievoli sui diritti dei condomini. In tal caso, i condomini dissenzienti sono legittimati a impugnarle in quanto portatori di un interesse finalizzato ad ottenere un giudizio – di nullità o di annullabilità.
Le decisioni che nulla dispongono o con cui si stabiliscono direttive o indicazioni generiche prive di contenuto che non implicano l’assunzione di obblighi e doveri da parte dei condomini non sono delibere e, pertanto, non possono essere impugnate.
Il caso
Una condomina aveva citato in giudizio il condominio per aver impugnato due deliberazioni: una per aver introdotto nuovi criteri di ripartizione delle spese, l’altra per aver approvato nuove tabelle millesimali, entrambe senza la necessaria unanimità.
Il tribunale aveva dichiarato la nullità della prima delibera e rigettato la domanda relativa alla seconda per motivi che esulano dall’argomento. Veniva proposto appello, da entrambe le parti, con diversa argomentazione.
La corte di merito respingeva il motivo di appello della condomina in quanto – contrariamente a quanto sostenuto dal giudice di primo grado relativamente al punto in cui dichiarava “nulla” la delibera – riteneva che quest’ultima più che nulla fosse da ritenersi “inesistente” perché dal verbale non risultava alcun deliberato da parte dell’assemblea, ovvero non vi era stata “alcuna manifestazione di volontà da parte dei condomini”.
Erano da respingere anche le motivazioni esposte dal condominio nelle sue conclusioni, laddove chiedeva che venisse “revocata la dichiarazione di nullità resa dal primo giudice” perché, precisa la corte, se fossero state accolte avrebbero avuto “l’effetto di far rivivere un’ipotetica delibera assembleare di contenuto inesistente…”.
Il condominio proponeva ricorso per Cassazione definito con l’ordinanza n.1367/ 2023.
Le motivazioni
Per la suprema corte una deliberazione condominiale può dirsi inesistente quando manchi un elemento costitutivo della fattispecie del procedimento collegiale, sicché non può proprio individuarsi strutturalmente l’espressione di una volontà riferibile alla maggioranza.
In tali situazioni, l’assemblea non assume una deliberazione e, pertanto, essendo priva di qualsivoglia contenuto decisorio sul punto, la delibera inesistente non produce effetti per cui non può generare alcun pregiudizio ai diritti dei condomini “i quali non hanno alcun interesse ad agire per la sua impugnazione, tale da legittimarne la pretesa ad un diverso contenuto della decisione del collegio” (Cass. sent. n. 1367 cit.) ed ottenere un giudizio di nullità o di annullabilità (Corte D’appello Salerno, sentenza n. 942/2020)
Non solo. Precisa ulteriormente la corte che l’accertamento dell’inesistenza della deliberazione assembleare impugnata da un condomino non può determinare la soccombenza del condominio anche se questo abbia contestato le ragioni di invalidità della stessa dedotte dall’attore, dovendo restare soccombente la parte che abbia avviato una richiesta dichiarata infondata o abbia resistito a una pretesa fondata (e si sia perciò vista negare o togliere un bene a vantaggio dell’avversario).
Per le ragioni esposte, la Cassazione accoglieva il ricorso con rinvio alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinché quest’ultima procedesse di esaminare nuovamente la causa uniformandosi ai suddetti principi, tenendo conto dei rilievi svolti e provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.
di Luigi De Santis, Avvocato
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