Il verde migliora la qualità della vita delle nostre case e delle nostre città ma non ci consente di recare danni o fastidi ai vicini. Alcune regole di base per un corretto uso del pollice verde.
Avere sui propri balconi vasi con piante da curare e innaffiare è senza dubbio piacevole per chi ha il cosiddetto “pollice verde” e anche per chi, all’inizio non abilissimo, intenda migliorare il suo rapporto con il mondo vegetale. Appartenere a una comunità consente eventualmente di condividere tali passioni ma impone il rispetto di regole scritte o semplicemente dettate dal buon senso.
All’interno di un condominio il riferimento normativo primario resta il regolamento vigente, che può prevedere un orario durante il quale è ammesso innaffiare le piante. Generalmente ciò è consentito dalle 23 di sera fino alle 7 della mattina, poiché durante le ore notturne si presume che ci siano meno soggetti che potrebbero ricevere sul proprio capo qualche goccia di acqua di troppo.
In ogni caso, è bene utilizzare i sottovasi al fine di impedire la fuoriuscita dell’acqua durante l’innaffiatura. Anzi, alcune volte, è proprio il regolamento di condominio a dettare delle regole precise, alle quali tutti i condomini devono attenersi.
Nel caso non ci siano divieti in merito o linee guida particolari, è sempre opportuno attenersi alle previsioni del codice civile che, nel caso specifico, all’art. 1122 recita: “Nell’unità immobiliare di sua proprietà il condomino non può eseguire opere che arrechino danno alle parti comuni o determinino pregiudizio alla stabilità alla sicurezza o al decoro architettonico”.
Da molti decenni l’innaffiatura manuale è stata sostituita da quella automatica, regolata da un computer che, adeguatamente programmato, apre all’ora prestabilita la valvola e consente di irrigare i vasi sui quali sono stati apposti i gocciolatoi. Tale soluzione, indubbiamente comoda nei periodi in cui i proprietari sono lontani dalla propria abitazione, necessita però di una manutenzione scrupolosa, sia per impedire che gli ugelli dei gocciolatoi si ostruiscano (a causa del calcare presente nell’acqua, soprattutto a Roma), sia per evitare eventuali rotture che procurerebbero una fuoriuscita copiosa di acqua a pressione.
L’immissione di acqua nella proprietà altrui è, infatti, una delle ipotesi contemplate dall’art. 844 c.c., che di per sé non le vieta ma che pone come limite la normale tollerabilità, a sua volta parametrata alla condizione dei luoghi. Poche gocce sul balcone del vicino pertanto potrebbero non eccedere la normale tollerabilità e non legittimerebbero pertanto il condomino ad agire in giudizio; viceversa, quando la fuoriuscita di acqua sia di una certa entità e procuri anche danni a cose e/o persone, è bene rivolgersi prima all’amministratore per ammonire il danneggiante e poi ad un legale per valutare le possibili strade da percorrere.
In ogni caso, ad avviso di chi scrive, la via giudiziale potrà essere intrapresa solo dopo aver tentato una bonaria definizione della controversia, in quanto l’auspicio, esteso a tutte le liti che potrebbero insorgere, è che il buon senso di entrambe le parti coinvolte possa prevalere sullo spirito conflittuale.
di Andrea Scandurra, avvocato
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