Il braccio di ferro tra proprietario di un immobile in affitto e condomini va avanti da anni nei tribunali. Facciamo un po’ di chiarezza con l’aiuto di un legale sulle sentenze recenti e su quali divieti previsti dal regolamento condominiale siano effettivamente efficaci.
è noto come negli ultimi tempi soprattutto nelle grandi città d’arte si siano moltiplicate le attività ricettive svolte negli appartamenti in condominio. È sicuramente una modalità utile a valorizzare il proprio immobile da parte dei proprietari ma che comporta anche disagi nella comunità condominiale, in tema di riduzione della tranquillità, della sicurezza e del pari uso della cosa comune, con conseguente aumento della conflittualità tra vicini.
Le controversie riguardano soprattutto il contrasto tra le attività turistiche e ricettive e il regolamento di condominio, spesso redatto in epoche in cui la nostra società esprimeva esigenze differenti da oggi.
In particolare, il regolamento di condominio prevede due modalità di divieto riguardo la ricettività: o elenca le attività vietate (B&B, affittacamere, attività alberghiera etc.) oppure elenca i pregiudizi (alla sicurezza, alla tranquillità e al pacifico godimento della proprietà privata e/o dei beni comuni).
Sul punto si registrano soluzioni giurisprudenziali di merito e di legittimità diametralmente opposte. Il tribunale di Milano ha stabilito con decisione del 10 novembre 2017 l’illegittimità di attività di B&B per violazione della norma del regolamento contrattuale che vieta di destinare le proprietà esclusive a pensioni o camere in affitto, così affermando un’equivalenza circa la destinazione d’uso tra B&B da un lato e pensioni e camere d’affitto dall’altro.
Sempre il tribunale di Milano nel febbraio 2018 ha vietato un’interpretazione estensiva della norma regolamentare: il divieto riguarda la destinazione d’uso a locande e pensioni, e non può comprendere anche l’attività di affittacamere perché in questo caso manca la somministrazione del vitto.
Il tribunale di Roma invece, ha stabilito sin dal 19 aprile 2016 un’equivalenza tra l’attività di affittacamere e il B&B estendendo il divieto anche all’attività di casa vacanze. Lo stesso orientamento lo ha espresso più di recente, nel 2022, la corte di appello di Milano, definendo equivalente l’attività di affittacamere o pensione -vietata dal regolamento di rondominio- all’attività di B&B, ordinandone quindi la cessazione.
Anche la Corte di Cassazione ha espresso pronunce contraddittorie sia in epoca meno recente che in tempi più attuali. In particolare un orientamento della suprema corte, (sent. del 25.10.2021 n. 13164 e sent. del 19.03.2018 n. 6769) ha affermato l’efficacia del divieto di destinare l’appartamento a B&B, contenuto nel regolamento, nei confronti di chi acquista se nell’atto pubblico di compravendita sia contenuto un richiamo generico all’obbligo di osservare il regolamento di condominio. Quindi, per rendere efficace la clausola contenuta nel regolamento, che stabilisca un divieto circa la destinazione d’uso della proprietà individuale nei confronti di chi acquista, sarebbe sufficiente un richiamo “per relazionem” al regolamento di condominio contenuto nell’atto pubblico.
Tuttavia la migliore giurisprudenza (Cass. sent. n. 15249/2023) afferma un principio decisivo stabilendo quanto segue: la facoltà del proprietario di un appartamento di destinare la sua proprietà a un uso legittimo costituisce un’espressione fondamentale del diritto di proprietà che incide sull’esercizio del diritto di ciascun condomino: quindi il divieto di destinare l’uso del bene immobile proprio può essere contenuto solo in un regolamento di natura contrattuale allegato al rogito.
Congiuntamente, tale divieto è definito come costitutivo di una “servitù reciproca” (Cass. 15.04.199 n. 3769) e come tale deve essere approvato con il consenso di tutti i condomini proprietari.
Inoltre, altro aspetto fondamentale, la clausola che contiene il divieto è efficace se viene rispettato l’obbligo di trascrizione della clausola stessa con nota di trascrizione separata dalla trascrizione del regolamento (ai sensi dell’art. 2659, primo comma c.c. e dell’art. 2665 c.c.) (così, Cass. n.15222 30.05.2023 est. Scarpa).
Quindi, l’orientamento migliore della suprema corte esclude decisamente l’efficacia della clausola in esame per effetto del generico rinvio – contenuto nel rogito – al regolamento contrattuale.
Di più, tale clausola è valida solo se abbia cura di specificare in modo non equivoco le attività vietate; e tale divieto non può essere esteso ad altre attività non indicate con chiarezza nella clausola, nel rispetto dell’onere di rendere conoscibile un peso così significativo da parte del condominio nei confronti di chi acquista un’unità immobiliare.
Quindi la giurisprudenza più accreditata afferma che il Regolamento di Condominio che sia diretto non solo a organizzare la modalità d’uso delle cose comuni o la gestione o il funzionamento dei servizi condominiali, quanto a condizionare o menomare i diritti dei condomini di usare, di godere e di disporre delle unità immobiliari di proprietà esclusiva, deve essere espressione della volontà contrattuale di tutti i condomini proprietari e tale clausola, costitutiva di una servitù reciproca, deve redigersi per iscritto a pena di nullità, ai sensi dell’art. 1350 numero 4 c.c. e il verbale della riunione deve essere sottoscritto da tutti i condomini proprietari, presenti personalmente o per delega.
In mancanza di tali requisiti formali (chiarezza della clausola di divieto, trascrizione della clausola con nota separata, approvazione della clausola in assemblea all’unanimità dei proprietari con sottoscrizione del verbale ovvero contenuta nel regolamento contrattuale) la convenzione costitutiva della servitù reciproca non produce alcun effetto nei confronti dei condomini proprietari.
di Paola Pellegrini, avvocato
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