Un problema ricorrente in condominio è la partecipazione al pagamento di alcune spese comuni da parte dei proprietari di unità immobiliari che abbiano un accesso indipendente, cioè esterno allo stabile, pur facendovi parte dal punto di vista strutturale.
Quello delle spese per la manutenzione interna di uno stabile è un tema classico da diatriba condominiale quando gli esercenti che utilizzano solo “l’esterno” dell’edificio si rifiutano di contribuire. Si pensi ad esempio alle spese per l’illuminazione, per il servizio di pulizia delle scale o per la manutenzione dell’ascensore che i condomini “esterni” sovente ritengono di non dover pagare.
Le spese per i beni “necessari all’uso comune”
In base all’articolo 1117 del codice civile l’androne, le scale e l’ascensore di un edificio sono beni di proprietà comune a tutti i condomini se non risulta il contrario dal titolo (regolamento contrattuale). Tali beni sono definiti parti dell’edificio “necessarie all’uso comune” in quanto elementi strutturali fondamentali all’edificazione dell’edificio.
Le scale e l’ascensore, in particolare, hanno non solo una utilità diretta perché consentono di accedere alle proprietà esclusive, ma anche una utilità indiretta perché permettono di arrivare ai piani più alti, ai tetti, ai lastrici solari, alle terrazze di copertura per poter svolgere varie funzioni o prestazioni (apporre antenne e ripetitori, effettuare la manutenzione dei beni e degli impianti comuni ivi ubicati come l’antenna centralizzata terrestre e satellitare, stendere i panni ecc.).
Non è escluso, quindi, che anche i proprietari di negozi con ingresso autonomo “possano accedere al tetto e ad altre strutture per rimuovere situazioni di pericolo (Cassazione sentenza 2328/1977, appello Milano n. 1938/1987, tribunale di Bologna n. 798/1997, appello di Milano senenza. n. 1219/1992) o usare scale o ascensore per accedere all’autoclave, ai contatori della luce delle abitazioni, alla centralina telefonica, ecc.
Ciò ha indotto a ritenere che, essendovi un uso potenziale delle parti comuni, le relative spese gravano anche su di loro (Cass. sent. n. 15444/2007).
Per tali ragioni, la giurisprudenzia prevalente sostiene che i locali siti al piano terra, ed aventi accesso autonomo direttamente dalla strada, sono comunque tenuti a contribuire ai costi di manutenzione delle scale e ne possono essere esonerati solo nel caso in cui non abbiano nessuna relazione con gli altri beni comuni che compongono l’edificio (oppure, generalmente, siano esclusi in base ad una “diversa convenzione”).
Ed invero “l’androne e le scale di un edificio sono oggetto di proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., anche dei proprietari dei locali terranei, che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato come diviso in proprietà individuali, per piani o porzioni di piano, e rappresentano, inoltre, tramite indispensabile per il godimento e la conservazione, da parte od a vantaggio di detti soggetti, delle strutture di copertura, a tetto od a terrazza” (Cass. sent. n. 15444/2007, Cass. sent. n. 21886/12, Cass. sent. n. 9986/2017, Cass. Ord. n. 22157/2018).
Le spese per la pulizia e l’illuminazione delle scale non rappresentano spese per la conservazione delle parti comuni, cioè necessarie a preservare l’integrità ed a conservare il valore originario del bene, bensì spese utili a permettere ai condomini un più confortevole uso e/o godimento delle cose comuni e di quelle ad uso esclusivo (Cass. ordinanza n. 5068/2023) in quanto hanno il fine anche di garantire l’igiene, il decoro e la sicurezza dell’edificio che sono definiti “beni comuni” in quanto prestati nell’interesse comune.
Un caso particolare
Per affermare l’obbligo di pagare le spese condominiali, non è di per sé sufficiente l’uso di una parte dell’edificio condominiale (nel caso di specie: androne e scale) perché è necessario che il soggetto abbia la qualità di condomino e, quindi, sia parte di un rapporto di “condominialità” con i beni comuni.
Nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte di Cassazione (ordinanza n. 17582/2023), il proprietario di un appartamento in condominio si opponeva al decreto ingiuntivo con il quale il condominio (A) gli intimava di pagare una somma a titolo di saldo per la gestione condominiale ordinaria.
Questi, infatti, contestava la sua natura di condomino, in quanto utilizzava le scale e l’androne della palazzina solo “per brevità” per raggiungere la casa di sua proprietà, ubicata in un altro diverso condominio (B). Il giudice dell’opposizione confermava l’ingiunzione di pagamento.
La Corte di Cassazione, invece, accoglieva le ragioni del ricorrente precisando che il giudice di prime cure era incorso in un grave errore consistente nel non aver preliminarmente accertato la questione della titolarità comune di una porzione dell’edificio, cioè l’esistenza del “rapporto di condominialità” ex art. 1117 c.c., su cui si fonda l’obbligo del pagamento delle spese condominiali, elemento imprescindibile quando si tratta di valutare la legittimità di un decreto ingiuntivo emesso per la riscossione di contributi condominiali.
La mancanza dello status di proprietario-condomino nel condominio (A) faceva venire meno l’unico criterio in base al quale il ricorrente stesso poteva essere definito condomino e, dunque, obbligato al pagamento delle spese condominiali.
Da qui il rinvio della Cassazione al giudice di merito per un nuovo esame della vicenda “affinché il tribunale, nella persona di diverso giudice, accerti la sussistenza della titolarità comune di scala e androne e, quindi, il rapporto di accessorietà necessaria, strutturale e funzionale, che lega alcune parti comuni di corpi di fabbrica distinti al fine di poter attribuire al proprietario ricorrente la qualità di condomino”.
di Luigi De Santis, Avvocato
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